GLI ANNI DEL DOPOGUERRA

A Matelica c’era un solo imbottigliatore prima della Seconda Guerra, tale Trampini, guarda caso un nipote di nonna Basilia. La zona era già ritenuta qualificata per i vini. La strada sembra tracciata ma i decenni dopo la guerra sono gli anni dell’abbandono dell’agricoltura, come dicevo, a Matelica sono gli anni di Enrico Mattei e delle assunzioni all’Eni.

La famiglia Benedetti nel frattempo si è data al commercio di vini all’ingrosso. Era il periodo più oscuro del Verdicchio a Matelica, nel commercio quello che contava era solo il prezzo. Basso. Eugenio è uno spirito irrequieto, una “capoccia libera”.

«Vedevo cresce le vigne mie e quelle volevo lavorare».

Ma a casa c’era il padre padrone, nessuno spazio per voli pindarici.

Eugenio passa gli anni Settanta a girare in lungo e largo il centro Italiana con il suo maggiolino verde mare per vendere vini romagnoli. Con successo, ma con un’ombra nel cuore. Intanto a Matelica la cantina di Italo Mattei, fratello di Enrico, aveva chiuso, c’era la cooperativa e altri due-tre che imbottigliavano. In Italia era l’epoca dei vini bianchi del colore della carta velina, cristallini ed insipidi. Niente a che vedere con il Verdicchio di Matelica, vino di razza.

ALLA RICONQUISTA DELLA TIPICITÀ

Nei primi anni Ottanta il padre si ammala, Eugenio rientra a casa e inizia a fare il suo Verdicchio di Matelica da artigiano, antico e rivoluzionario allo stesso tempo. L’archetipo era il sapore del vino di nonna Basilia.

«Io facevo un Verdicchio di Matelica naturale. Da artigiano: vinificazione in bianco con un Vaslin, un travaso dopo 48 ore e riposo in bottone fino a primavera quando si imbottigliava e tappava con tappi a corona alla maniera della Champagne. Dopo qualche mese lo travasavo senza filtri e chiarifiche, tappo di sughero e via».

Era il Cavalieri oppure il Fornacione, dal nome delle sue vigne che alla maniera borgognona, nel pieno rispetto del territorio, lavorava e imbottigliava separatamente. In una bottiglia borgognotta, al posto dell’ormai svalutata anfora. Una leggera effervescenza, un respiro, lo contraddistingueva, come nel vino di Basilia. Potente e acido con un po’ di cristalli sul fondo. Oggi sarebbe un vino di gran moda, a quel tempo era una mosca bianca, temerario.

Podere Cavalieripodere-fornacione-panoramaVallata del Podere Cavalieri

«Un vino cui devi voler bene prima di comprarlo». Che solo un grande venditore poteva smerciarne oltre ventimila bottiglie ogni anno, tanto bravo che non ne é rimasta nemmeno una. Peccato non avere l’opportunità di assaggiarlo.

Ma qual è l’anima di questo vino? «L’anima del Verdicchio di Matelica coincide con il luogo in cui nasce, freddo e roccioso, quasi selvaggio». Inesorabile e potente, prende alla gola e non ha niente di mansueto, ma è un eccezionale compagno a tavola, capace di tener testa a una tagliatella all’uovo condita con un sugo genuino di carne di manzo, inevitabile in un pranzo della domenica marchigiana.

UNA TRADIZIONE CHE SI RINNOVA

Eugenio oggi preferisce fare il nonno, ha passato il testimone a Gabriele che fa il vino secondo la sua testa, «perché è lui che lo deve vendere», ma si volta volentieri per studiare la lezione del padre, quasi per assorbirne l’energia e il coraggio per scelte controcorrente. La prima annata della nuova generazione è la 2006. Non è un caso che il vino si chiami Gegè.